Un corteggiamento insistito, non gradito dalla persona amata, è senz’altro un atto persecutorio che giustifica la condanna del protagonista per il delitto di stalking.
Lo hanno affermato, con una serie di pronunce coerenti, il Tribunale, la Corte d’Appello e poi la Corte di Cassazione, investita dal ricorso proposto dall’imputato: colpevole, secondo lui, solo di essersi innamorato e di avere cercato di intrecciare una relazione con una collega di lavoro; responsabile, secondo lei, di un vero e proprio assedio capace di condizionarle la vita.
Pronunciandosi sul ricorso, la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che i ripetuti tentativi di contatto – seppure apparentemente innocui (invio di messaggi, ripetuti cenni di saluto, recapito di regali indesiderati) – quando non siano graditi dalla destinataria possono ingenerare ansia, turbamento, timore, fino al limite di condizionare le abitudini di vita della persona offesa.
A quel punto, risultano perfezionati tutti gli elementi indispensabili per l’incriminazione: e il corteggiatore insistente può legittimamente essere ritenuto responsabile di atti persecutori.
Nel pronunciarsi sulla vicenda, la Corte di Cassazione ha avuto inoltre modo di ribadire che la testimonianza resa in giudizio dalla persona offesa, se complessivamente attendibile, è elemento sufficiente – da solo – a fondare una sentenza di condanna, specialmente quando si tratti di indagare le conseguenze di contenuto marcatamente soggettivo (ansia, paura, preoccupazione) che siano conseguenza della condotta di reato.
Avv. Giovanni Antonio Lampis
Il presente documento è stato elaborato sulla base della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sull’argomento.
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