In inglese significa “eccentrico”. In tedesco, con una vocale in meno, “diagonale”.
Comunque la metti, il QUEER è un tipo che si mette “di traverso”. Un individuo che rivendica la propria libertà, rifiuta le etichette, non vuole essere “classificato”. Soprattutto quando si parla di sentimenti, ma anche di amore: perché ciò che provi per un’altra persona, a pensarci bene, non ha colore, non ha lingua, non ha genere.
Il termine QUEER ha conosciuto una straordinaria ribalta grazie alla scrittrice Michela Murgia e alla sua esperienza di vita all’interno di una famiglia, la sua famiglia QUEER: un luogo in cui le relazioni e gli affetti seguono una traiettoria non tradizionale e non codificata ma si definiscono in base alle affinità dei suoi componenti, senza ruoli predefiniti.
La famiglia QUEER corrisponde alla rivendicazione del diritto di vivere con chi ci piace, condividendo le decisioni importanti della dimensione quotidiana con le persone che abbiamo scelto, che ci capiscono e con le quali coltiviamo una intimità autentica e profonda.
Per chi si occupa di diritti, la sfida del QUEER è garantire un riconoscimento ai membri della famiglia diagonale, valorizzando la rete degli affetti scelti e l’esercizio da parte di questi ultimi di diritti e facoltà normalmente riservati dalla legge ai membri della famiglia tradizionale.